Vogliamo condividere alcune riflessioni sull’agricoltura non tradizionale, visto che in questi anni abbiamo sperimentato diversi metodi, affrontato diversi problemi, avuto tanti dubbi e fatto tante considerazioni. Magari simili alle vostre.
Cos’è l’agricoltura?
Agricoltura significa “l’arte e la pratica di coltivare la terra” (Treccani). In questa definizione si prevede una maestria, l’uso di tecniche efficienti ma, con la parola arte, è implicita anche una parte emotiva, creativa ed espressiva.
Non vogliamo parlare, quindi, di metodi agricoli nel senso di tecniche, (di quello abbiamo già detto qui), ma piuttosto dell’atteggiamento e dello spirito con il quale si approccia alla coltivazione e alla natura.
L’agricoltura è anche cultura, i modi di coltivare cambiano sia rispetto ai tempi (storici) che agli “usi e costumi” dei diversi popoli in differenti luoghi.
Da questo punto di vista noi occidentali, ad esempio, siamo abituati ad avere un approccio razionale/scientifico mentre altre culture no.
Crediamo che la differenza di approccio, di cultura, determini la differenza tra un metodo agricolo e l’altro, anche nell’ambito di un agricoltura non industriale.
Riflessioni sull’approccio
Dando per scontato che si scelga un’agricoltura non tradizionale, il panorama alternativo è comunque ampio e non è facile cogliere le diversità e le sfumature tra una “scuola” e l’altra.
All’inizio, da neonifiti, ci siamo affidati allo studio e a molte letture e abbiamo preso un metodo come riferimento, come guida.
Ben presto abbiamo scoperto che l’unica cosa davvero importante era non fossilizzarsi sulle indicazioni tecniche, per quanto affascinanti. Molto meglio sperimentare sul campo e permettere al nostro istinto di guidarci (ricordate la storia dei bancali sinergici?).
L’agricoltura non è una religione, almeno questo è quello che pensiamo noi.
Le diverse “scuole” di agricoltura alternativa, sono simili anche se non uguali. Tutte indicano una strada per coltivare nel rispetto della terra e dell’equilibrio naturale, ma ognuna con i suoi principi inderogabili.
All’inizio non ci appariva molto chiaro ma pensandoci bene, guardando al di là delle tecniche specifiche, ciò che le distingue è proprio il tipo di approccio culturale che esiste a monte, l’atteggiamento che può essere più razionale o più emotivo.
L’atteggiamento razionale e logico, proprio dell’Occidente, porta ad un’agricoltura alternativa che imita la natura e l’uomo è parte attiva, progetta e realizza. In certo senso è artefice e creatore.
È il caso della Permacultura e dell’Agricoltura Sinergica.
In questi metodi agricoli l’uomo, ispirandosi alla Natura, si dà un gran da fare. Crea strutture, modella il paesaggio circostante, interviene con scavi e costruzioni. Basti pensare allo studio di pattern, scavi di swales, costruzione di bancali di coltivazione, interro di tronchi, realizzazione di laghetti, ecc.
L’area agricola è ordinata, geometrica, progettata su carta e, bisogna dirlo, esteticamente molto bella. Alla natura selvaggia viene lasciata una zona marginale.
Riflessioni: si tratta di un modo per riportare il paesaggio agricolo deturpato ad una forma più naturale o un modo alternativo per affermare il dominio dell’uomo sull’ambiente circostante?
La natura ha bisogno di essere plasmata o è un nostro bisogno?
D’altro canto un atteggiamento emotivo e magico, porta ad un’agricoltura alternativa in cui l’uomo si inserisce come uno dei tanti fattori nella natura. La Natura è perfetta così come è, l’uomo è solo un custode.
Questo è l’atteggiamento che si ritrova nell’Agricoltura Naturale di Fukuoka (e derivati).
L’area agricola non è quasi distinguibile dalla vegetazione spontanea, gli ortaggi convivono con le “erbacce” per buona parte dell’anno, niente è ordinato e bello, secondo i nostri canoni estetici.
Riflessioni: come si concilia questo approccio con l’esigenza coltivare specifiche piante e ricavarne un guadagno? Eppure Fukuoka stesso coltivava per vendere e, a pensarci bene, solo cereali a rotazione continua! Il che non sembra molto naturale.
Ci ha forse lasciato un koan (paradosso zen) su cui meditare?
Agricoltura come percorso
Probabilmente all’inizio di un’avventura agricola si sceglie e ci si orienta proprio verso l’agricoltura che più rispecchia il nostro spirito, il nostro approccio. Almeno così è successo a noi.
Abbiamo cominciato con un atteggiamento più orientato al razionale, quindi nuove tecniche che si inserissero sul nostro back-ground culturale italiano, in cui l’agricoltura è fatta di campicelli ordinati con coltivazioni in fila.
Ma, se ci si dà la possibilità di sperimentare sul campo, di passare tante ore nell’orto e di osservare di più, quasi senza accorgersene le tecniche suggerite da un metodo agricolo perdono importanza.
Man mano che si stabilisce una connessione con la natura, ci si rende anche conto che molte delle pratiche scelte non ci convincono più, non ci rispecchiano più.
E cominciano i dubbi e le riflessioni.
A noi sta succedendo.
Quindi la riflessione principale che vogliamo condividere con voi è: agricoltura è un percorso personale?
Per noi, che abbiamo scoperto di avere un approccio emotivo/magico (almeno io), direi proprio di si. Coltivare si è rivelato un cammino ed un’evoluzione, delle tecniche e di noi stessi.
E se l’agricoltura è un percorso, non c’è un modo giusto e uno sbagliato di coltivare, ognuno di noi ha il suo cammino, giusto per se stesso.
Il tipo di agricoltura che facciamo riflette chi siamo, anzi meglio dire che quello che siamo determina l’agricoltura che facciamo. E il nostro modo di coltivare inevitabilmente cambia quando noi cambiamo.
In pratica
Occuparci di agricoltura è un’esperienza che ci trasforma continuamente.
Abbiamo cominciato con un’agricoltura di compromesso tra il “tradizionale” e “l’alternativo”, studiato e progettato secondo la Permacultura, sperimentato l’orto sinergico e le pratiche di agricoltura naturale, per arrivare, oggi, a ritenere davvero fondamentali soltanto tre cose: non usare pesticidi e/o diserbanti, salvare i semi e avere una terra ricca non compatta.
Ma, nella pratica, come ottenere una terra fertile? Come produrre di più per vendere?
Al momento non abbiamo più risposte certe, non siamo più legati ad una tecnica o un metodo in particolare. Abbiamo ampie vedute, consideriamo diverse possibilità, convinti che le nostre esperienze e una maggiore connessione con la Natura ci guideranno istintivamente.
Ci piace immaginare questo cammino come una spirale da percorre andando verso il centro. Quindi approfondire, conoscerci, connetterci e sentirci parte. Le risposte arriverranno, come anche tante altre riflessioni.
E voi come vivete l’agricoltura?
2 commenti
L’agricoltura per come la vivo io è la ricerca della sussistenza (puntando alla ricerca dell’autosufficienza) quanto più possibile in modo naturale (inteso come minor intervento dell’uomo possibile) accontentandosi di quello che la propria terra riesce a dare, cercando di selezionare le varietà che meglio si adattano alle proprie condizioni.
Non essendo tutti i terreni ed i climi votati a tutte le coltivazioni (ogni pianta per produrre al meglio ha esigenze specifiche) bisogna a volte accontentarsi anche di un piccolo raccolto e magari di qualità mediocre, ma sapendo che così facendo si avrà un impatto minimo sul pianeta ed il cibo consumato sarà il più salubre che potete ottenere.
Poi secondo me l’agricoltura è fatta di esperienza, anche i più anziani contadini ad oggi, dopo mille generazioni, vanno ancora a tentativi basati sulla propria esperienza e propria sensazione per decidere in che data effettuare la semina, le potature, ecc… cercando di scongiurare i possibili problemi dati dal clima, dai patogeni, o dagli insetti.
Pertanto ritengo anche io che l’agricoltura sia un percorso in cui non si finisce mai di imparare, ed anche un mancato raccolto può dare i suoi frutti in termini di conoscenza ed esperienza.
Ciao Alessio, è un piacere leggerti.
Grazie, grazie, grazie